Con la terza e ultima stagione della prima serie originale italiana (Suburra) distribuita da Netflix si chiude il racconto del lato oscuro della Capitale, un mondo sotterraneo dove il destino di due ragazzi romani si mischia con il potere politico, criminale ed ecclesiastico che sorge tra le sponde del Tevere.
Non devi dimenticarti da dove vieni, soprattutto quando non sai ancora dove stai andando. (Samurai)
Trepidante attesa da parte di chi, dopo l’ultima scena di Suburra 2, era rimasto con il fiato sospeso, pieno di interrogativi nel sapere come, la serie prodotta da Cattleya, avrebbe proseguito nel narrare il marcio che si nasconde nella “città di mezzo”. Ci avevano lasciati così: con il politico, una volta pulito, Amedeo Cinaglia eletto primo cittadino della Capitale, Samurai e Sara diventati alleati e Lele che, schiacciato dal senso di colpa, decide di togliersi la vita uscendo di scena con quella frase che ha lasciato tutti a bocca aperta “però non sono come voi”.
E Aureliano e Spadino? Hanno stretto ancora di più la loro alleanza, con dei sentimenti che vanno oltre la bramosia di potere per governare su Roma da un lato, e la voglia di vendetta per Lele, uccidendo Samurai dall’altra. Ora sono legati dall’amicizia e dal senso di fratellanza.
Questo cambio di guardia si sente tutto fin dalla prima scena della nuova stagione e detta tutti i tempi narrativi della serie, dall’inizio alla fine.
L’epopea di “Suburra” si incastra, almeno inizialmente, come prequel dell’omonimo film di Sergio Sollima, una Gomorra in salsa romana forte del robusto romanzo della coppia Bonini-De Cataldo e sorretto da un cast di buoni attori, come Alessandro Borghi nel ruolo ormai rodato di Aureliano Adami e il convincente Giacomo Ferrara in quello di “Spadino”.
Ma tutto deve finire. Anche Suburra.
Una Stagione 3 spiazzante, perché ribadisce (addirittura sin dal primo episodio) la sua volontà di spezzare definitivamente ogni legame con la pellicola di cui dovrebbe rappresentare un prezioso antefatto. Una perplessità duplice perché, al netto di tanti ottimi elementi, la nuova tornata di episodi dello show co-prodotto da Netflix e Cattleya è (delle tre) forse quella che ci è piaciuta di meno. Come spesso accaduto con altre serie, quali Gomorra, Breaking Bad, Lost, per citarne alcune.
Ma Suburra 3 disinnesca e distrugge sin da subito la seconda, e forse più importante, necessità. Il racconto, che sin dal finale del primo episodio della terza stagione regala un incredibile colpo di scena in contrasto con la sceneggiatura del lungometraggio, non fa che riservare sorprese fino al suo struggente epilogo, che “scanonizza” ufficialmente lo status di “prequel” dello show. Se fino all’iterazione precedente c’era infatti possibilità di collegarsi al film pur con qualche riserva – come il rapporto sempre più fraterno tra Aureliano e Spadino, che ci aspettavamo giungesse prima o poi ad una profonda rottura – diversi elementi narrativi della serie Netflix, peraltro centrali allo svolgimento della trama e alla conclusione di certe storyline, prendono una strada del tutto differente, qualificando in definitiva “Suburra – La Serie” come una vera e propria storia alternativa, un nuovo adattamento del romanzo di Giancarlo De Cataldo. In buona sostanza, tra film e serie di Suburra sussiste adesso lo stesso rapporto che riscontriamo tra show e pellicola di Gomorra, ma le differenze qui diventano ancor più clamorose visto che l’opera filmica di Sollima include in parte lo stesso cast del progetto Netflix.
Dopo il tragico suicidio di Lele, incapace di convivere con il senso di colpa generato dai crimini commessi, e l’inaspettato risveglio dal coma di Manfredi, capo del clan Anacleti, gli equilibri di potere tra tutti i personaggi sono di nuovo messi in discussione. Con l’elezione del nuovo sindaco di Roma e l’ascesa in Campidoglio di Cinaglia, la Suburra si mette di nuovo in moto. Il mondo “di sopra” e quello “di sotto” dovranno venire a patti per spartirsi il più grande affare del nuovo millennio: il Giubileo. Aureliano e Spadino sono pronti a sfidare di nuovo Samurai e reclamare il trono della Città Eterna. Chi vincerà la battaglia all’ultimo sangue per ottenere il potere sulla città?
A mio avviso, la terza stagione di Suburra riesce nonostante tutto a chiudere quasi brillantemente questa storia iniziata nel 2017. Il finale è avvincente e le scene crude e violente fanno acquisire maggiore autenticità allo show. Forse la scelta di puntare su 6 episodi rende più frettolosa la trama, ma spesso la velocità da una mano alla sceneggiatura. Ottime le interpretazioni dei personaggi principali con uno Spadino vero Re del set e la scenografia che esalta gli scorci più cupi di una Roma violenta e suburbana. Probabilmente meno forte di Gomorra e Romanzo Criminale, ma anche Suburra riesce a rappresentare molto bene, la realtà criminale italiana.
Giuseppe Calabrese per Accademia Artisti